Negli anni ottanta il Sudamerica era vittima di terribili dittature. Tutti ricordano Pinochet e il “Garage Olimpo” in Argentina, ma in Brasile le cose non è che fossero migliori. I militari al governo avevano tolto molti diritti civili e la gente viveva sotto la paura delle squadre della morte o nella paura di essere tradotte in carceri dai quali non si usciva con facilità. In questo contesto nella prima metà degli anni ottanta avvenne un miracolo.
Il Corinthians decise di rompere le regole. Nonostante fosse una squadra di incredibile talento (tutti assieme c’erano gente come Socrates, ma anche Wladimir e Walter Casagrande – che poi giocò anche nel Torino) decise di proclamare l’autogestione. La squadra si rifiutò di riconoscere l’autorità dell’allenatore e per tre anni mise in piedi una sorta di “autogestione” che venne definita “Democrazia corinthiana”. Qualcuno la definì anarchia. In realtà decisero tutti assieme che da un certo momento in poi, la democrazia, alla quale tutti nel Brasile, aspiravano l’avrebbero messa in pratica loro. Avrebbero votato e deciso su qualsiasi cosa. Anche le più insignificanti. E il voto di ognuno valeva lo stesso di qualsiasi altro.
Il Corinthians decise di rompere le regole. Nonostante fosse una squadra di incredibile talento (tutti assieme c’erano gente come Socrates, ma anche Wladimir e Walter Casagrande – che poi giocò anche nel Torino) decise di proclamare l’autogestione. La squadra si rifiutò di riconoscere l’autorità dell’allenatore e per tre anni mise in piedi una sorta di “autogestione” che venne definita “Democrazia corinthiana”. Qualcuno la definì anarchia. In realtà decisero tutti assieme che da un certo momento in poi, la democrazia, alla quale tutti nel Brasile, aspiravano l’avrebbero messa in pratica loro. Avrebbero votato e deciso su qualsiasi cosa. Anche le più insignificanti. E il voto di ognuno valeva lo stesso di qualsiasi altro.
Che poi era un altro filosofo e pure rivoluzionario: Waldemar Pires.
E votavano su tutto, dal menù del giorno alle strategie di gioco e di mercato. Persino in bus, durante le trasferte stabilivano per alzata di mano se fermarsi o meno per le necessità fisiologiche. Qualunque cosa diventava di interesse collettivo, compresi i contratti individuali, ragionavano valutando con attenzione le disponibilità economiche del club. E per la prima volta nella storia del calcio brasiliano, sulle maglie del Corinthians apparvero anche le scritte pubblicitarie. Ma non si trattava di marche e loghi per prodotti di consumo, ma di invocazioni perché venisse posto fine alla dittatura militare: "Elezioni dirette subito" oppure “Io voglio votare il presidente”. E infine scrissero sopra la parola magica: DEMOCRAZIA.
La meravigliosa democrazia del Corinthians, di giocatori che lottavano rischiando del proprio per rivendicazioni sociali non solo sul campo, ma anche nelle piazze.
Quando vinsero il campionato entrarono tutti in campo con un grande striscione: “Non importa se sul campo vinci o perdi, importa solo se lo fai in democrazia”. Questi erano quegli uomini.
E, da romantico del calcio, mi piace pensare che sia stato anche grazie a loro che nel 1985 finalmente quello che avevano sempre cercato, arrivò. Mi piace pensare che sia stato proprio Socrates con i suoi compagni a dare la spallata finale a quella merda di dittatura militare. In un’intervista il “dottore” affermò:
“La libertà è una cosa che genera responsabilità, bisogna saper amministrare questi due aspetti. Il calcio è l’unica azienda nella quale il lavoratore è più importante del padrone. Il calciatore può essere osteggiato, limitato, ma alla fine è lui ad avere le carte migliori per cambiare lo stato delle cose. "
Questa certezza si cementò nello spogliatoio del Corinthians, radici che nessuno è più riuscito a estirpare. Ed è stato un processo che ha aiutato i brasiliani a sollevare la testa e a liberarsi dopo vent’anni dell’oppressore.
Quando vinsero il campionato entrarono tutti in campo con un grande striscione: “Non importa se sul campo vinci o perdi, importa solo se lo fai in democrazia”. Questi erano quegli uomini.
E, da romantico del calcio, mi piace pensare che sia stato anche grazie a loro che nel 1985 finalmente quello che avevano sempre cercato, arrivò. Mi piace pensare che sia stato proprio Socrates con i suoi compagni a dare la spallata finale a quella merda di dittatura militare. In un’intervista il “dottore” affermò:
“La libertà è una cosa che genera responsabilità, bisogna saper amministrare questi due aspetti. Il calcio è l’unica azienda nella quale il lavoratore è più importante del padrone. Il calciatore può essere osteggiato, limitato, ma alla fine è lui ad avere le carte migliori per cambiare lo stato delle cose. "
Questa certezza si cementò nello spogliatoio del Corinthians, radici che nessuno è più riuscito a estirpare. Ed è stato un processo che ha aiutato i brasiliani a sollevare la testa e a liberarsi dopo vent’anni dell’oppressore.
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